“Abbiamo nominato questore di Milano il dirigente generale Antonio De Iesu, questore di Bari da un anno, 60 anni. In precedenza ha diretto egregiamente la questura di Avellino e Salerno. Tanti auguri di buon lavoro a un brillante servitore dello Stato”. Lo rende noto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano.Il Dirigente Generale della Polizia di Stato, Antonio De Iesu, e’ nato a Napoli il 24 ottobre 1955. E’ sposato e padre di due figli. Si e’ laureato in Scienze Politiche presso l’Ateneo ‘Federico II’ di Napoli. Quale vincitore di concorso, a decorrere dal 27 ottobre 1973, ha frequentato il decimo corso quadriennale per Allievi Ufficiali presso l’Accademia del disciolto Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza a seguito del quale, il 1° ottobre 1977, e’ stato nominato Tenente del Corpo ed assegnato al Raggruppamento Guardie di P.S. di Napoli. Il 1 gennaio 1978 la nomina a Capitano del Corpo delle Guardie di P.S., successivamente, dal 25 giugno 1982, e’ inquadrato nella qualifica di Commissario del ruolo dei Commissari della Pubblica Sicurezza. Dal 1977 al 1981 presta servizio presso il Raggruppamento Guardie di P.S. di Napoli quale Ufficiale Addetto e Comandante di Nucleo; il 16/9/1981 viene designato quale Ufficiale Addetto al “Nucleo Speciale di Polizia Giudiziaria”, istituito per contrastare la grave recrudescenza di fenomeni di criminalita’ organizzata che, negli anni ’80, fecero registrare elevati profili di criticita’ nella sanguinosa e violenta conflittualita’ tra le agguerrite consorterie camorristiche denominate “Nuova Famiglia” e “Nuova Camorra Organizzata” – facente capo al famigerato Raffaele Cutolo con una lunga scia di sangue e numerosi omicidi. Il 15 marzo 1982 De Iesu, allora capitano del disciolto Corpo delle Guardie di P.S., nel corso di una delicata e rischiosa operazione di polizia giudiziaria viene ferito a seguito di un violento conflitto a fuoco con esponenti della criminalita’ organizzata, nel corso del quale riporta la frattura della tibia; nell’operazione rimane ucciso un pericoloso malvivente affiliato alla Nuova Camorra Organizzata. Per tale evento gli viene riconosciuto lo status di “Vittima del Dovere e della criminalita’ organizzata”. L’1 luglio 1987 viene promosso, per merito comparativo, alla qualifica di Vice Questore Aggiunto e successivamente nominato, l’1 gennaio 1995, Primo Dirigente della Polizia di Stato.
Il suo percorso professionale lo vede assegnato, negli anni 85/88, quale funzionario addetto alla sezione antirapina in seno alla Squadra Mobile della Questura di Napoli; successivamente nell’arco temporale 1988/1993, assume, in periodi consecutivi, la dirigenza dei commissariati distaccati di P.S. “Mercato”, “Giugliano” e “San Giorgio a Cremano” con giurisdizione in aree territoriali ad elevato indice di criminalita’. Negli anni 1993 e 1996, con decreto del Presidente della Repubblica, viene nominato Componente delle Commissioni straordinarie per la gestione dei comuni sciolti per infiltrazioni camorristiche, rispettivamente di Ercolano e Casandrino. Dal 1995, per dieci anni, ricopre l’incarico di Dirigente dell’Ufficio Prevenzione Generale della Questura di Napoli, ove coordina e pianifica efficaci e complesse strategie di controllo del territorio in un’area territoriale caratterizzata da elevati profili di criticita’ legati alla recrudescenza di fenomeni di criminalita’ comune ed organizzata. L’1 agosto 2005 e’ nominato Vicario del Questore di Napoli. Promosso, a seguito di scrutinio per merito comparativo, alla qualifica di Dirigente Superiore della Polizia di Stato con decorrenza 1 gennaio 2007, viene nominato nello stesso anno Questore della Provincia di Avellino, poi, nel 2010, designato alla direzione della Questura di Salerno e dal 25 luglio 2014 Questore della Provincia di Bari. Dal marzo 2015 e’ Dirigente Generale della Polizia di Stato. Nel corso della sua lunga carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti e benemerenze. Il suo percorso professionale lo vede assegnato, negli anni 85/88, quale funzionario addetto alla sezione antirapina in seno alla Squadra Mobile della Questura di Napoli; successivamente nell’arco temporale 1988/1993, assume, in periodi consecutivi, la dirigenza dei commissariati distaccati di P.S. “Mercato”, “Giugliano” e “San Giorgio a Cremano” con giurisdizione in aree territoriali ad elevato indice di criminalita’. Negli anni 1993 e 1996, con decreto del Presidente della Repubblica, viene nominato Componente delle Commissioni straordinarie per la gestione dei comuni sciolti per infiltrazioni camorristiche, rispettivamente di Ercolano e Casandrino. Dal 1995, per dieci anni, ricopre l’incarico di Dirigente dell’Ufficio Prevenzione Generale della Questura di Napoli, ove coordina e pianifica efficaci e complesse strategie di controllo del territorio in un’area territoriale caratterizzata da elevati profili di criticita’ legati alla recrudescenza di fenomeni di criminalita’ comune ed organizzata. L’1 agosto 2005 e’ nominato Vicario del Questore di Napoli. Promosso, a seguito di scrutinio per merito comparativo, alla qualifica di Dirigente Superiore della Polizia di Stato con decorrenza 1 gennaio 2007, viene nominato nello stesso anno Questore della Provincia di Avellino, poi, nel 2010, designato alla direzione della Questura di Salerno e dal 25 luglio 2014 Questore della Provincia di Bari. Dal marzo 2015 e’ Dirigente Generale della Polizia di Stato. Nel corso della sua lunga carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti e benemerenze.
Il napoletano Antonio De Jesu nuovo Questore di Milano
“Il boss Giuseppe Gallo non è pazzo” il perito sconfessa la finta schizofrenia nel processo per la truffa all’Asl
Boscotrecase/Torre Annunziata. “Peppe ‘o pazzo non è pazzo”: a stabilirlo lo psichiatra e psicoterapeuta Luca Bartoli che ha effettuato una perizia su Giuseppe Gallo, il boss del clan Gallo-Limelli-Vangone alla sbarra per aver truffato l’Asl incassando un assegno mensile per un’invalidità al 100% attestata – secondo l’accusa – con perizie false e certificati medici compiacenti. Il perito, nominato dal Tribunale, ha testimoniato al processo che si sta celebrando al Tribunale di Torre Annunziata a carico del boss detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Parma, proprio per una banale truffa ai danni dello Stato, aggravata dal metodo mafioso. Un finto pazzo per la Procura, tesi avallata da Bartoli nel corso dell’udienza e contestata dalla difesa, rappresentata dall’avvocato Ferdinando Striano. «Giuseppe Gallo non è pazzo. Ha solo un disturbo misto della personalità, aggravato dal carcere. A volte dà risposte bizzarre, ma può stare sotto processo. La sua è una sindrome da prolungata detenzione». Aveva evitato processi e carcere per anni, barricandosi dietro quella sindrome schizofrenica già messa in discussione dalla Dda di Napoli, nel corso dell’inchiesta Pandora che vide coinvolti tra gli altri anche il noto psichiatra Adolfo Ferraro, responsabile della struttura psichiatrica di Aversa. Luca Bartoli, psichiatra e psicoterapeuta presso la ASL di Salerno, ha smentito anni di perizie – forse aggiustate – fatte al 38enne boss di Boscotrecase, noto narcotrafficante e esponente massimo dell’omonimo clan. Secondo l’accusa, Giuseppe Gallo avrebbe simulato patologie e un “disturbo psicotico con base schizofrenica”, curato con farmaci neurolettici, in modo da evitare per anni il carcere e i processi. Percependo anche un assegno di invalidità civile totale e permanente del 100%. Assegno da 747 euro al mese, percepito per cinque anni: dal 2004 al 2009. La presunta sindrome del boss sarebbe stata agevolata anche da noti specialisti, tra i quali Ferraro, il 63enne ex direttore del servizio sanitario dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. La difesa ha ingaggiato una lunga battaglia legale sulla questione, ha contestato le conclusioni di Bartoli che il 13 gennaio scorso ha visitato Giuseppe Gallo nel carcere di Parma e ha annunciato che vi sarebbero certificati medici che smontano la tesi dell’accusa. Per confutare le conclusioni di Bartoli, nella prossima udienza, arriverà lo psichiatra romano Alessandro Meluzzi. Mentre il difensore si è riservato di depositare due certificati medici, frutto di due perizie ordinate dal Tribunale di Napoli e dai giudici de L’Aquila. Giuseppe Gallo si gioca la sua partita della vita e il carcere a vita in un processo per truffa ai danni dell’Asl.
Ercolano, il pentito Capasso rivela: “Non sparai a Ivano Perrone”
Erolano. L’ex boss ora pentito Giuseppe Capasso smentisce di aver fatto parte del commando che sparò in Corso Resina e colpì Ivano Perrone, procurandogli un’emiparesi permanente. Il collaboratore di giustizia ha testimoniato al processo in cui è coinvolto insieme al boss del Canalone, Natale Dantese, per due tentati omicidi: quello di Ivano Perrone e di Nicola Iacomino e Ciro Cozzolino, colpiti perché parenti dei Savino, una famiglia vicina al clan Birra-Iacomino. Per la Dda Capasso e Dantese sono rispettivamente esecutore e mandante dei due agguati ai danni di affiliati ai Birra-Iacomino. Nel mirino dei killer c’era Antonio Uliano, scampato entrambe le volte alla morte. Ma nel primo tentato omicidio rimase colpito Ivano Perrone, un colpo alla testa che lo ha segnato per tutta la vita. Perrone era in un bar di Corso Resina quando fu raggiunto da un proiettile che gli perforò la testa. Capasso ha smentito la sua partecipazione al raid confermando invece di aver fatto parte del commando in cui rimasero feriti Nicola Iacomino e Ciro Cozzolino. In quell’occasione i sicari per non tornare a “mani vuote ed essere additati come scemi”, ferirono due lontani parenti di un affiliato al clan Birra-Iacomino, ma entrambi estranei alle logiche criminali.
Giuseppe Capasso ha deciso di pentirsi dopo l’arresto proprio per il tentato omicidio Perrone e Uliano. Dalle accuse di tentato omicidio è stato assolto nei mesi scorsi, Natale Suarino. Mentre sono rimasti a processo Natale Dantese e Giovanni Di Dato, insieme a Giuseppe Capasso.
Pianura, mitra contro un agente di polizia: arrestato l’ex pentito Nunzio Spina. Due complici ricercati
E’ Nunzio Spina, 51 anni ex pentito di Forcella residente ora ad Afragola l’uomo arrestato per aver partecipato l’altro giorno alla “stesa” a Pianura- Spina ora è ritenuto legato ai nuovi boss di Pianura, l’alleanza Romano- Lago-Sorianiello-Giannelli. I complici, altri due, invece sono stati individuati e ora ricercati. Ma il plateale gesto di camorra stava per trasformarsi un una strage perché come è emerso dalla ricostruzione fornita dagli inquirenti c’è stata una vera e prppria sparatoria con tanto di inseguimento tra i componenti della “stesa” in sella alle moto e un’auto civetta della polizia che li aveva intercettati. Uno dei componenti ha addirittura sparato con un mitra contro gli agenti. Tutto è cominciato quando tre uomini, su due scooter, sono stati notati dall’auto civetta della polizia in via Cornelia dei Gracchi. Non si sono fermati all’alt ed è cominciato l’inseguimento. Uno dei componenti del commando ha esploso un primo colpo verso la macchina dei poliziotti e poi un secondo indirizzandolo verso l’ispettore, seduto al lato passeggero. Gli agenti hanno risposto al fuoco e solo un caso ha voluto che i proiettili non abbiano colpiti gli automobilisti che si sono trovati lungo il percorso della sparatoria. L’inseguimento è durato fino in via Montagna Spaccata, dove Nunzio Spina, che era da solo sullo scooter, è caduto, ha cercato anche la fuga a piedi ma è stato raggiunto ed arrestato. Gli altri due invece hanno concluso la fuga sparando contro il palazzo in cui abita un presunto affiliato ai Pesce-Marfella, in via dell’Avvenire.Gli investigatori ritengono che dietro questa nuova esclation criminale ci sia la guerra in atto tra il clan i Romano-Lago di Pianura, ora alleati con i Sorianiello di Soccavo e i Giannelli di Bagnoli contro il clan Pesce-Marfella. Oltre al pre- dominio degli affari illeciti a Pianura, c’è anche il tentativo di controllare gli altri quartieri dell’area flegrea.
Acerra, omicidio Panico: chiesto l’ergastolo per il boss Tortora
Acerra. Omicidio Panico: l’antimafia chiede l’ergastolo per Domenico Tortora alias ‘o stagnaro. Il pubblico ministero Francesco Valentini ha ricostruito l’omicidio avvenuto il 17 agosto del 2002 in cui perse la vita Gennaro Panico, ‘o imbizzato, mentre era al telefono in una cabina pubblica in piazza San Pietro ad Acerra. Per lo stesso omicidio sono stati accusati Pasquale Tortora, l’albanese Guri Dunami, ritenuto l’esecutore materiale e il pentito Pasquale Di Fiore. Proprio le dichiarazioni del collaboratore di giustizia hanno permesso alla Dda partenopea di ricostruire quell’omicidio di camorra di 14 anni fa. Di Fiore si auto accusa e riferisce che l’omicidio nacque nell’ambito della guerra contro i Grimaldi. Il pentito racconta di essersi incontrato con Tortora e deciso di uccidere Panico, per dare un segnale a Raffaele D’Urso Caterino che nell’ambito delle spartizioni dei proventi illeciti aveva tenuto fuori Di Fiore e i suoi. Le dichiarazioni del collaboratore dovranno essere incrociate con quelle di altri collaboratori di giustizia tra i quali Antonio Di Buono, alias ‘o gnocco, nipote del boss Cuono Grimaldi E Roberto Vicale, ‘o chiattone. Il 5 aprile i giudici della Corte d’Assise di Napoli dovranno emettere la sentenza.
Pozzuoli: chiesto il giudizio per Mormile il dj dell’incidente in tangenziale
Pozzuoli. Uccise la fidanzata e un automobilista andando contromano in Tangenziale: la Procura chiede il rinvio a giudizio del Dj di Pozzuoli Nello Mormile. Il pm Salvatore Prisco ha chiesto, nella sua requisitoria, il processo per il giovane. Omicidio volontario e guida in stato di ebrezza queste le accuse che dovrà valutare il giudice Rosa De Ruggiero, che dovrà decidere sulla richiesta arrivata all’ufficio dopo l’avviso di conclusione delle indagini e un lunghissimo interrogatorio al quale Mormile si è sottoposto accompagnato dai Gaetano Baccari e Gaetano Porto. Un interrogatorio che non ha intenerito la Procura ed ha avallato la tesi dell’accusa sulla richiesta di rinvio a giudizio. Mormile aveva chiesto di essere interrogato per ripercorrere le fasi del rapporto con Livia Barbato, la fidanzata 22enne rimasta uccisa nello scontro in tangenziale, assieme ad Aniello Miranda. Secondo l’imputato non c’erano motivi di astio, né c’era l’esigenza di forzare la mano, magari di dare seguito a una prova di forza al termine di litigio, tanto da spingerlo ad andare contro mano in tangenziale. Poi, ripercorre anche la serata del 25 luglio scorso, trascorsa in discoteca. Il Dj ha sostenuto di ricordare tutto, fino al momento in cui si mette in macchina, poi il vuoto assoluto. Peccato che in quel vuoto ha percorso contromano la tangenziale ed ha ucciso la fidanzata che aveva accanto e un imprenditore di Torre del Greco che si recava al lavoro. Mormile ha detto che Livia si accomodò sul sedile posteriore poi non ricorda altro. I genitori di Livia sono pronti a costituirsi parte civile. A pesare sulla posizione del Dj anche alcune intercettazioni ambientali in carcere nelle quali il giovane si lascia andare a considerazioni dalle quali non traspare nessun rammarico per il grave episodio. Ora la richiesta di rinvio a giudizio passa al Gup De Ruggiero.
Ravello, uccise la scafatese Patrizia Attruia: processo per Enza Dipino
E’ stata rinviata a giudizio Vincenza Dipino, la 55enne di Ravello che per gli inquirenti ha ucciso a fine marzo dello scorso anno Patrizia Attruia, nascondendone il corpo in una cassapanca con la complicità del compagno Giuseppe Lima. E’ accusata di omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione. Ieri il gup Sergio De Luca del Tribubale di Salerno ha accolto la richiesta di rinvioa giudizio del pm Cristina Giusti fissando il processo per gli inizi di ottobre prossimo. La posizione dle suo presunto complice, imputato per favoreggiamento e occultamento di cadavere, è stata stralciata su richiesta del difensore Luigi Gargiulo, che ha preannunciato richiesta di rito alternativo (abbreviato o patteggiamento). In aula ci saranno anche il padre e la sorella della vittima, che ieri si sono costituiti parte civile tramite l’avvocato Carlo De Martino. La 47enne risiedeva a Scafati, prima di trasferirsi quattro anni fa a Ravello. la donna aveva intrecciato una relazione con Giuseppe Lima, e avevano vissuto in un fabbricato rurale a servizio di un terreno agricolo prima di andare a casa di Vincenza Dipino, che si era offerta di ospitarli visto che entrambi erano senza lavoro. Proprio da questa convivenza sono sorti i dissidi che hanno portato al delitto. Un omicidio a sfondo passionale, alimentato dalla rivalità tra le due donne e forse da una relazione clandestina che Lima avrebbe intrecciato con la Dipino. Patrizia Attruia sarebbe stata uccisa al culmine di un ennesimo litigio. Nel corso delle indagini è emerso che potrebbe essere stata costretta ad assumere una massiccia dose di tranquillanti, poi è stata strangolata e il suo corpo è stato ritrovato il 27 marzo del 2015 in una cassapanca dell’appartamento diviso con i due imputati. Fu Lima a dare l’allarme, avvisando i carabinieri del ritrovamento del cadavere. Glielo avrebbe mostrato la stessa Dipino, che ha subito confessato. L’uomo continua invece a dichiararsi innocente, ma per gli inquirenti ha avuto un ruolo attivo nel tentativo di inquinare la scena del delitto, finché insieme non hanno deciso di cedere e chiamare i carabinieri. Dagli esami eseguiti dal medico legale è risultato che la morte di Patrizia Attruia era avvenuta quaranta ore prima, e i sopralluoghi degli investigatori hanno consentito di localizzare il luogo del delitto tra la cucina e la camera da letto.
Clan Fezza-D’Auria Petrosino di Pagani, il pentito Califano inguaia i guaglioni della Lamia
Pagani. Ha parlato per oltre tre ore snocciolando episodi e ruoli degli uomini del clan Fezza-D’Auria Petrosino nel processo denominato Taurania Revenge: Domenico Califano, ‘camorrista’ per caso e uscito dal clan tra il 2008 e il 2009 ha raccontato prima la sua decisione di sganciarsi dai guaglioni della Lamia e da ‘Tonino D’Auria Petrosino’ e poi il suo ruolo all’interno del gruppo criminale. Califano, ex dipendente di Alfonso Di Lieto l’uomo che gestiva una società per l’installazione di videopoker, arrivò tardi a far parte del clan di Pagani. “Quando mi misi in proprio – ha rivelato il pentito, collegato in videoconferenza – dovetti rivolgermi a Vincenzo Confessore e a quelli della Lamia per chiedere dove potevo installare le macchinette”. Ma ben presto, l’uomo diventò anche il custode e il distributore della droga che arrivava a Pagani, in grosse quantità, veniva tagliata e poi distribuita ai pusher. Califano ha raccontato che cominciò a pensare di uscire dal giro quando scoprì che Vincenzo Confessore faceva il ‘pacco’ con la droga. “Noi prendevano la droga a Torre Annunziata – ha spiegato – da un tale Gennaro, poi la portavano nel deposito (un luogo trovato da Califano per nascondere armi e stupefacenti) e la taglivamo. Mi accorsi che Confessore metteva la sostanza di taglio e prendeva la cocaina pura”. Un fatto gravissimo che poteva mettere in pericolo lo stesso Califano e quindi per evitare di essere accusato ingiustamente di sfare lo ‘sgobbo’ sulla polvere bianca, l’uomo chiamò Francesco Fezza e riferì i suoi sospetti. “Fui portato da Tonino D’Auria Petrosino e dopo avergli raccontato quello che avevo scoperto lui mi disse di stare tranquillo”. Califano ha raccontato che tra il 2008 e il 2009 quando aveva da tempo maturato la decisione di lasciare il gruppo criminale, Francesco Fezza, con Salvatore Attianese e altri giovani armati andarono a casa sua volevano costringerlo a tenere della droga per loro, ma Califano si rifiutò. Gli presero la Smart che aveva per costringerlo a pagare un debito di circa 700 euro. “Capii che sarebbe stato pericoloso continuare – ha spiegato Califano, pentito affidabile e meticoloso – e così decisi di iniziare a collaborare”.
Pianura: sfuggiti a un agguato il ras Vincenzo Foglia e il figlio
Il ras di Pianura, Vincenzo Foglia e il figlio Alfredo sono sfuggiti ad un agguato mortale da parte di un commando di morte di killer dell’alleanza Romano-Lago-Sorianiello-Giannelli. E’ accaduto sabato scorso nei pressi di un circolo ricreativo in via Duca d’Aosta. I sicari, in stile telefilm delle serie Crime americani, erano in sella a uno scooter e su un furgone, mostrando pistole e fucili ai terrorizzati passanti. La strage non c’è stata perché qualcuno si è accorto in tempo del loro arrivo ed è partito il fuggi-fuggi generale. In strada poi c’erano anche mamme e bambini e a quel punto i killer hanno dovuto desistere con il rischio di colpire vittime innocenti. A dare l’allarme sarebbe stato Giovanni Bellofiore, già noto alle forze dell’or- dine e che si trovava vicino ai due Foglia, padre e figlio, e che probabilmente sarebbe potuto rimanere anch’egli vittima della sparatoria. Vincenzo Foglia è l’unico esponente apicale del clan Pesce-Marfella-Foglia attualmente in libertà. E il fatto che la vittima designata fosse proprio lui la dice lunga su come la tensione tra i clan sia alta. Vincenzo Foglia era stato arrestato nel 2006 dopo una lunga latitanza per una serie di estorisoni compiute ai danni dei commercianti e imprenditori di Pianura quando era un affiliato del clan Lago. Con il ritorno in libertà è diventato uno degli obiettivi principali della nuova alleanza di clan che sta cercando di imprimere il proprio predominio in tutta la zona flegrea napoletana, passando per Fuorigrotta, Pianura, Soccavo, Rione Traiano e la Torretta.Investigatori al lavoro per individuare i compnenti del commando di morte.
Napoli: i due killer di Amendola ospiti di uomini del clan. Baci alla fidanzata che gli ha gridato: “Amore, comme si bello!!!”. IL VIDEO DELLA CATTURA
Saranno interrogati nei prossimi giorni Gaetano Formicola ’o chiatto e Giovanni Tabasco birillino accusati di essere gli assassini del 18enne Vincenzo Amendola e di averne seppellito il cadavere in un terreno abbandonato nei pressi del laghetto di san Giovanni a Teduccio. I due, difesi dall’avvocato Leopoldo perone, con molta probabilità si avvarranno della facoltà di non rispondere. Tanto che il legale ha già annunciato la richiesta di scarcerazione al Riesame. I due sono stati arrestati l’altro pomeriggio a Viterbo dove erano ospitati e protetti da due personaggi di San Giovanni a Teduccio che operano nel commercio dei fiori recisi. I due non era arrivati da molto nel covo di Ponte di Cetti, zona abbastanza isolata di Viterbo. Un casolare sulla Cassia sud presa in fitto proprio dai due napoletani che commerciano in fiori recisi, dove c’erano altre persone che lavorano nel com- mercio. E nel primo pomeriggio di martedì, quando è scattato il blitz delle Squadre Mobili di Napoli e Viterbo, erano arrivate anche Maria Domizio, moglie del capoclan Ciro Formicola e vera reggente della cosca, Giulia Formicola e la nuova fidanzata di “’o chiatto”, che stavano organizzando la Pasqua per i due latitanti.E quando si è avuta la certezza che i due fossero all’interno del casolare è scattato il blitz: una ventina di uomini hanno circondato il casolare bloccando tutti i presenti. Formicola e Tabasco non hanno reagito, e dopo un primo momento di timore (credevano di essere finiti nel mirino dei killer dei Ri- naldi, con cui il povero Vincen- zino era imparentato) si sono lasciati ammanettare senza problemi. Avevano carte di identità false che sono state sequestrate e sono ora oggetto di indagini da parte della Procura di Viterbo. Per i due affittuari del casolare è scattata la denuncia a piede libero per favoreggiamento personale mentre le altre persone sono state solo identificate. Nel frattempo, la notizia dell’arresto dei due assassini è arrivata nel “Bronx” e , come racconta il Roma in edicola, in poco tempo a Viterbo sono arrivati altri parenti dei due latitanti, tra cui la zia di Tabasco e la madre di Formicola, Maria Tarantino. Le donne si sono lasciate andare alle solite scene all’uscita de- gli arrestati dalla Questura con baci, complimenti e raccomandazioni: “Nun te preoccupà a nonna – continuava a urlare Maria Domizio – Nun te preoccu- pà…”. E la nuova fidanzata di “’o chiatto” (a quanto pare si è lasciato con Mariarca Cervone, figlia del pentito Gaetano, ex affiliato al clan Aprea di Barra, con cui aveva avuto una bambina): “Amore, comme si bello!!!”, e lui ha risposto con un bacio prima di entrare nell’autocivetta che l’ha portato in carcere a Viterbo, dove nei prossimi giorni i due saranno sentito per rogato- ria nel corso dell’interrogatorio di garanzia.
Quarto: arrestato l’accoltellatore del 33enne davanti al bar
Gli agenti del commissariato di Pozzuoli hanno fermato P.G. un 24enne di Quarto. Secondo gli investigatori, l’uomo, martedì scorso, avrebbe accoltellato un 33enne. Il 24enne, N.C., incurante che gli fosse stato imposto l’alt in Via Spinelli all’incrocio con Via Plinio il vecchio, è stato bloccato dai poliziotti in Via Mommsen, mentre era a bordo della sua autovettura. Il giovane ha da subito manifestato una certa insofferenza al controllo di Polizia, adducendo scuse circa il fatto che era in procinto di partire alla volta di Londra. I poliziotti, nonostante l’atteggiamento reticente della vittima che rifiutava di indicare il responsabile del ferimento, sono riusciti a ricostruire la dinamica dei fatti, verificatisi all’esterno di un bar in località Monteruscello, accertando che tra i due, vi era già stata una precedente lite dove il feritore aveva avuto la peggio.Per colpa della pioggia battente, nel luogo teatro dei fatti, non è stato possibile individuare tracce ematiche. I poliziotti, però, hanno sequestrato un pantalone di jeans, già sottoposto a lavaggio e un paio di scarpe ginniche, indossate da N.C. il giorno in cui ha accoltellato il 33enne. Quest’ultimo, infatti, condotto all’ospedale S. Maria delle Grazie di Pozzuoli, con prognosi riservata, dove attualmente è ricoverato, ha riportato lesioni all’emitorace sinistro, regione lombare sinistra con frattura delle costole. Il 24enne, che a suo dire si era fatto medicare in altro ospedale, nella serata di ieri, prima d’esser condotto dai poliziotti alla Casa Circondariale di Poggioreale, è stato medicato presso l’ospedale Loreto Mare per una ferita da taglio alla mano, guaribile in 10 giorni. Al vaglio della Polizia le immagini del sistema di videosorveglianza del bar dove si sono svolti i fatti.
Arrestati a Roma i pendolari della truffa. Cinque napoletani colpivano gli anziani
Una banda specializzata in truffe ad anziani è stata sgominata dalla sezione di pg della Polizia della procura di Roma che ha arrestato cinque napoletani in collaborazione con i colleghi della questura partenopea. I cinque, ritenuti responsabili di una trentina di rapine in tutta Italia (una quindicina nella capitale), sono finiti in carcere a Napoli su disposizione del gip di Roma. Si tratta di Ciro Campolongo, 33 anni; Salvatore Sivero, 32; Giuseppe Sarpa, 60; Giovanni Muro, 25; Salvatore Chiaese, 48 anni. Due gli indagati raggiunti da decreto di perquisizione: Vincenzo Pollio, 56; e Amedeo Navarra, 41. La tecnica usata dalla banda era quella, piuttosto nota, di avvicinare una persona anziana e di convincerla ad estinguere un debito del figlio. In questo modo, dopo aver accompagnato la vittima in banca o in un ufficio postale, i truffatori si facevano consegnare 2500 euro. Le indagini hanno preso il via a Roma sulla base di alcune denunce. Ad inchiodare i truffatori in trasferta le immagini delle telecamere degli istituti di credito ed il riconoscimento fotografico da parte delle vittime. I cinque sono in carcere per truffa aggravata, ma risultano indagati anche per associazione a delinquere.Fermavano una persona anziana e la convincevano, offrendosi di accompagnarla in banca o a un ufficio postale, a pagare 2500 per far fronte a un debito (inesistente) del figlio. E’ il ‘modus operandi’ messo in piedi da un gruppo di napoletani autori nell’ultimo anno di una trentina di episodi di truffa tra Roma e altre citta’ del centro-sud e arrestati dal gip della Capitale su richiesta della Procura. I protagonisti della truffa, a loro volta, immortalati dalle telecamere di sorveglianza degli istituti di credito, sono stati riconosciuti dagli stessi anziani e quindi monitorati e pedinati dalla polizia. Cosi’ si e’ scoperto che queste sette persone abitavano a Napoli ma andavano in trasferta a Roma e in altre citta’ per portare a termine i vari colpi. Dalle indagini della polizia e’ emerso anche come siano tantissimi i casi, ovviamente non denunciati, di truffa sventata ai danni delle persone piu’ deboli quasi sempre grazie alla sensibilita’ del cassiere della banca che alla richiesta dell’anziano di poter ritirare un corposo quantitativo di soldi ‘cash’ si insospettiva e faceva saltare il piano criminoso. “Tuo figlio ha comprato un televisore su internet… Lo stiamo consegnando ma devi pagare subito altrimenti bisogna dare di più…”. Con questa frase, girata nel caso al femminile, un gruppo di truffatori, quasi tutti napoletani, abbindolavano persone anziane arrivando a farsi dare da mille a tremila euro “.
Afragola: uccelli di specie protetta sequestrati dalla polizia
Uccelli di specie protette sono stati sequestrati dalla Polizia nel corso di controlli condotti ieri ad Afragola per stroncare questa forma di commercio illegale. Gli agenti del Commissariato locale hanno effettuato un sopralluogo in un negozio per la vendita di animali domestici ed hanno scoperto che in alcune gabbie erano custoditi canarini gialli della specie “Arricciati del Sud” privi dell’anello identificativo e sprovvisti della documentazione che ne accerta la provenienza. I Poliziotti hanno poi perquisito l’ abitazione dei titolari del negozio e nel cortile in alcune gabbie appese al muro hanno trovato 8 cardellini, un fringuello di cui è vietata la detenzione, altri 11 canarini ‘Arricciati del Sud’ e 6 meticci della stessa specie. Gli uccelli sequestrati sono stati consegnati alla Guardia Forestale gli uccelli sequestrati. I titolari del negozio sono stati denunciati per ricettazione e violazione della legge sulla protezione della fauna selvatica.
Napoli, arrestato spacciatore di 66 anni a Chiaia
Una mazzetta di banconote, per l’ammontare di 160 euro, oltre a 12 dosi di ‘cocaina’, pronte per essere vendute agli abituali acquirenti, è il bilancio di un’operazione lampo eseguita dagli agenti del commissariato di polizia ‘S. Ferdinando’. I poliziotti, infatti, nella serata di ieri, a seguito di uno strano andirivieni nei pressi dell’abitazione di un pregiudicato, nella zona della ‘Torretta’ nel quartiere Chiaia, hanno deciso di effettuare un servizio di appostamento. I sospetti degli agenti si sono rivelati fondati, trattandosi dell’abitazione di un pregiudicato di 66 anni, alias ‘Beccaccione’, in passato arrestato per reati inerenti lo spaccio di droga. Gli agenti hanno fatto irruzione nell’abitazione dell’uomo sequestrando le dosi di cocaina ed i soldi che aveva nascosto tra degli indumenti, riposti su di una cassettiera nella sua camera da letto. Il 66enne è stato arrestato perché responsabile del reato di spaccio e di detenzione ai fini di spaccio e condotto dai poliziotti nel carcere di Poggioreale.
Scampia: è tornato in carcere “Sicc penniello”, il giovane scampato tre volte alla morte e al cui posto fu ucciso la vittima innocente Pasquale Romano
E’ tornato in carcere Domenico Gargiulo detto “Sicc penniello” il 25 enne di Scampia scampato per tre volte alla morte in altrettanti agguati nell’ultimo dei quali fu ucciso al suo posto la giovane vittima innocente Pasquale Romano. Era stato scarcerato con la prescri-zione della sorveglianza speciale, ma l’altra sera gli agenti del commissariato di Scampia lo hanno sorpreso mentre si intranneva a parlare con un gruppo di pregiudicati legati al clan Marino delle Case Celesti. E quindi per lui si prospetta una Pasqua dietro le sbarre. Domenico Gargiulo è diventato famoso per essere sfuggito ai killer nemici ben tre volte, ma anche per essersi fatto tatuare una data siul braccio sinistro: 16-10- 2012. E’ il giorno in cui a Marianella un commando del clan Abete-Abbinante-Notturno-Aprea scambiò Pasquale Romano detto “Lino” per lui e fece fuoco all’impazzata uccidendo il giovane innocente. “Questa data rappresenta per me la rinascita. Al posto del povero Pasquale dovevo esserci io e da quel giorno sono ancora più attaccato alla vita”, disse Domenico Gargiulo ai poliziotti del commissariato Scampia che a maggio 2013 lo arrestarono.
Casalnuovo: arrestato Pietro Castiello. Aiutò i killer di Giuseppe Ilardi
I carabinieri hanno arrestato a Casalnuovo uno dei presunti responsabili, in concorso con altri, dell’ omicidio del pregiudicato Giuseppe Ilardi, avvenuto il 10 dicembre 2015. Si tratta di Pietro Castiello, accusato di aver aiutato gli esecutori materiali del delitto. Castiello – secondo quanto emerso dalle indagini dei militari della Compagnia di Castella di Cisterna – avrebbe aiutato Giovanni Romano Gallucci e Ciro De Caprio, due uomini del clan Piscopo-Gallucci, ad individuare il luogo per bruciare una moto utilizzata per l’ agguato ad Ilardi, 26 enne vicino al clan Veneruso-Rea, ucciso al Corso Umberto di Casalnuovo, davanti alla scuola materna ed elementare “De Curtis” mentre era a bordo di una “Smart” di proprietà del reggente del clan, Antonio Barone. Castiello avrebbe poi bruciato la moto con una bottiglia di benzina fornitagli da De Caprio e successivamente, alla guida di una “Fiat 600” avrebbe preso a bordo Gallucci ed Onofrio Mosti, zio di Gallucci, un altro dei sicari entrati in azione contro Ilardi. L’ omicidio di Ilardi – hanno rivelato le indagini – si inquadrava nella lotta tra i Rea-Veneruso ed i Piscopo-Gallucci per il controllo della droga nell’ area a Nord-Est di Napoli.
Castellammare: ripartono i lavori della villa comunale
Buone notizie per i cittadini di Castellammare. A breve ripartiranno i lavori di completamento della villa comunale. E’ stato finalmente validato il progetto esecutivo delle aditta da parte della società Vitruvius Engineering S.a.s. dell’ingegniere Vincenzo Calvanese di Napoli con alcune prescrizioni che dovranno essere fornite entro 15 giorni. Per l’inizio dei lavori manca a questo punto solo la determina dell’archietto Lea Quintavalle responsabile dell’ufficio tecnico del comune di Castellammare di Stabia. Ciò significa che al massimo entro la fine del mese di aprile riprenderanno i lavori. In questi giorni la ditta ha anche inviato un paio di operai per sistemare il canteire. I lavori da cronoprogramma dovrebbero terminare entro il gennaio del 2017.
Alberto Ferretti
Frase choc su Bruxelles di una consigliera comunale di Forio. Poi si scusa su Facebook
“I sindaci isolani? Peccato che non sono andati a Bruxelles”: è la frase choc postata su Facebook da un consigliere comunale di Forio d’Ischia, Grazia Parpinel, che ha commentato così la trasferta dei sindaci di Ischia, Lacco Ameno e Barano al Mitt di Mosca, dove si sono recati assieme al presidente Ascom dell’isola, Marco Bottiglieri, e ad altri operatori del turismo isolano. “E’ davvero grave ed assurdo che una consigliera comunale esprima frasi del genere” commenta da Mosca, dicendosi dispiaciuto ed arrabbiato, il sindaco di Barano d’Ischia, Paolino Buono. Sempre su Facebook la marcia indietro del consigliere. “Mi meraviglia il risalto mediatico che è stato dato al mio commento che era ironico. Non auguro certo la morte a questi signori e mi scuso ma la foto mostra questi signori sindaci dell’isola d’ Ischia come ragazzini in gita scolastica. Non so cosa vadano poi a mostrare visto lo stato in cui versa l’isola. Da Ischia, Forio, Barano Lacco non c’è angolo dell’isola che si salvi a causa dell’incuria e del mal governo. Il mio commento – conclude – è un commento di una cittadina in primo luogo e poi consigliera comunale stanca di tutto questo”.
Torre Annunziata: la polizia scopre armi e droga tra i rifiuti al “vicolo delle carceri”
Una pistola Beretta, un giubbotto antiproiettile, numerose cartucce, bilancini di precisione e materiale utile anche a confezionare droga. È quanto hanno scoperto due agenti di Polizia di Torre Annunziata in alcune buste nere abbandonate in uno stabile su corso Vittorio Emanuele III. Questa mattina, a seguito di una segnalazione anonima, secondo la quale due giovani, non meglio generalizzati, avevano esploso alcuni colpi d’arma da fuoco all’indirizzo del portone di uno stabile di via Agricoltori – strada che compone il dedalo di vicoli della zona comunemente denominata “ Vicoli delle carceri “, gli agenti della Polizia di Stato del commissariato Torre Annunziata si sono recati nel luogo menzionato riscontrando la veridicità di quanto segnalato. In effetti, un grosso portone in ferro al civico 34 di via Agricoltori, presentava tre fori da colpi d’arma da fuoco, che avevano attraversato il metallo, mentre in strada sono state recuperate 3 ogive deformate di proiettile per pistola. Immediatamente dopo questo ritrovamento, il poliziotti intervenuti, hanno effettuato la perquisizione di un locale cantinato posto all’interno dello stabile di Corso Vittorio Emanuele III. Una volta all’interno del portone, gli agenti intervenuti sono entrati nel locale interrato, scavalcando agevolmente la ringhiera delle scale al piano terra poiché il vano era protetto da un cancello in ferro al momento chiuso. Rovistando tra cumuli di rifiuti e di materiali di risulta, hanno rinvenuto due sacchetti di plastica che contenevano una pistola marca Pietro Beretta calibro 7,65 con caricatore monofilare inserito, fornito di 6 cartucce stesso calibro; 11 cartucce calibro 9 GFL; 5 cartucce calibro 9×19; 8 cartucce calibro 9 Luger C.B.C.; un giubbotto antiproiettile di colore blu privo di etichettatura; 5 bilancini di precisione marca Diamond funzionanti; 1 bilancia di colore bianca con forma circolare priva di marca; un rotolo di buste di cellophane trasparenti per alimenti; un rotolo di carta argentata; un paio di forbici di cm 20 circa; due coltelli da cucina; un involucro di cellophane contenente gr 4,6 circa di sostanza erbacea in avanzato stato di decomposizione e una tuta di colore bianco monouso: il tutto sottoposto a sequestro. Sono in corso gli accertamenti per identificare i detentori del materiale.
Napoli: agguato al Cavone, gambizzato un pregiudicato
Nuova sparatoria per le strade del centro di Napoli. Questa volta è toccato a un giovane che è stato gambizzato nei vicoli a ridosso di piazza Dante. E precisamente nella zona del Cavone. Secondo egli estesso ha raccontato mentre si trovava in uno dei vicoletti a ridosso della zona del ‘Cavone’ è stato avvicinato da due uomini che sono arrivati in sella ad uno scooter e che gli hanno sparato addosso, centrandolo ad una coscia. L’uomo, Emanuele A., trasferito in ambulanza al vicino ospedale Vecchio Pellegrini, secondo le prime verifiche della polizia risulta essere un pregiudicato della zona. L’intera dinamica del ferimento è ancora tutto da ricostruire e, dai primi accertamenti del personale sanitario, la vittima non è in pericolo di vita.